Commemorazione dell'assassinio per mano fascista di Giacomo Matteotti
16 Giugno 2024
Se non sai approfittarne, il tempo non è galantuomo. Immagina gli anniversari. Spesso si ricorda il passato, un fatto, un uomo, una donna, senza scavare davvero, accontentandoci di una visione parziale, neutra, più o meno la colonna di ciechi dipinta da Bruegel il Vecchio. Nel centenario di Giacomo, invece, qualche luce si è accesa a sgombrare le ombre affastellate dal tempo. Meglio: da una certa visione politica che quel cadavere non l’ha mai digerito del tutto. Un bastian contrario, folle, fuori dal coro, isolato, di una sconfinata intransigenza morale, il ‘professorino’ che studia le carte, approfondisce, indaga, si informa. Un rompiscatole. E poi sta fra la gente, si mescola agli ultimi, organizza le leghe, dirige una camera del lavoro, spiega ai miserabili che il socialismo è fatto di sogni e di cose semplici: saper leggere e scrivere, avere consapevolezza dei propri diritti perché il padrone non possa prenderti in giro, fotterti con un contratto fasullo. Tutte cose che allora, nei lunghi mesi della rivoluzione nascente, venivano considerate alla stregua di perdite di tempo, anche nella sinistra dominata da massimalisti.
Per capire chi è Matteotti, chi sono i protagonisti di una stagione drammatica, devi calarti in quegli anni, consapevole che l’amore per un progetto di vita è come la guerra, trova sempre un modo per ucciderti. Tutti ne parlano, d’altronde è l’anno del centenario: Matteotti antifascista, il martire per antonomasia, il combattente coraggioso che non si piegò, l’unico ad aver intuito, fin dal 1921, che il fascismo aveva un’anima diversa da quella della reazione tout court, se avesse piantato radici non sarebbe stato estirpato. Aveva ragione, ma non lo ascoltarono che in pochi, una minoranza. Tuttavia Matteotti non fu solo l’uomo che si batte’ contro il Duce, fu un uomo politico, segretario del Partito Socialista Unitario, l’allievo prediletto di Filippo Turati e Anna Kuliscioff, l’erede di una visione politica in quegli anni attaccata da fascisti e massimalisti. Cento anni dopo una visione attuale con la quale l’Italia, la sinistra in particolare, dovrebbe fare i conti perché il futuro di una destra radicale non abbia la strada spianata.
Matteotti agi’, fin dal gennaio del 1922, in pieno Governo Facta, per costruire una maggioranza parlamentare con popolari, repubblicani e liberali democratici che sbarrasse il passo a Mussolini. Vaticano e massimalisti si opposero e Benito divenne il Duce in un’Italia già pronta ad affidargli le redini del proprio destino. All’eroe, al martire antifascista, ho sempre preferito l’uomo. L’uomo di faccia a una scelta, l’uomo di fronte al destino di uomo, sentimenti così forti da precipitarti in un abisso di desolazione o in uno spazio sconfinato di gioia. L’uomo che corre dove cova l’incendio per non abbandonare alla sorte i
diseredati della sua terra, la provincia più povera e più negletta della penisola, la provincia dove il bracciante viene chiamato ‘instrumento vile’, quando è più importante la vacca da destinare al macello.
L’uomo che, quasi alla cieca, combatte per affermare la verità, in solitudine perché nessuno ha annusato il pericolo che dilania il Polesine e da lassù sta calando in ogni altra regione d’Italia, a cerchi concentrici. Cova l’incendio, dilagano le facce da lupo e le autorità o si voltano dall’altra parte o si fanno complici di pericolosi fanatici. La svolta avviene nel gennaio del 1921, dopo la prima interrogazione su omicidi, minacce e bastonature presentata a Montecitorio. Giacomo viene rapito a Castelguglielmo, seviziato e bandito dagli squadristi locali. Inizia l’inferno. Non tornerà più in Polesine. In pochissimi comprendono la gravità della sua denuncia. Lo squadrismo agrario ha i connotati delle squadre d’azione fasciste ma si stenta a vedere, lo si giudica ancora un fatto circoscritto, tipico di zone arretrate, anche se lassù, in cento giorni, hanno spazzato via sessantatre municipi socialisti. E invece. E invece è l’uomo che crede profondamente in un’idea, a tal punto da mettere a rischio la vita anche se quell’idea viene osteggiata perfino da chi gli è più vicino.
L’uomo che ama un’unica donna fin dal primo incontro a Boscolungo, passeggiando nelle foreste appenniniche, su, all’Abetone, e affida alle lettere, una va una viene, sentimenti e passioni perché da anni è un bastardo, un esule, inseguito e braccato. Un vagabondo. Ecco Velia. (la moglie) “Non mi volterò per vedere il tempo perduto, perché anche prima tu c’eri, se non come persona, come idea…sorella, amante, donna e amica, per averti vicina in ogni momento della mia vita”. L’uomo che abbraccia la vita proprio mettendosi a rischio perché se no non è vita, è rinuncia, e l’indifferenza è peggio della complicità con il male. L’uomo che lotta contro il ‘mussolinismo’ prima ancora che contro il fascismo, il primo a intuire che il Duce sta inaugurando una nuova e diversa stagione politica figlia dello spirito germinato nelle trincee e della crisi che ha colpito la piccola borghesia, privata del ruolo sociale che aveva raggiunto negli anni che precedono la Grande Guerra. L’antibolscevico che non crede nel bengodi della rivoluzione e che invece lavora perché vi siano più scuole, più case, più ospedali per alleviare dolore e povertà del proletariato.
L’uomo che crede nella democrazia parlamentare e nella libertà in un’epoca in cui la democrazia è un cane morto, bastonata dai fascisti e non solo. E infatti, nel luglio del ‘24, mentre Inghilterra e Francia accusano Mussolini di essere il mandante dell’omicidio, l’ambasciata dell’Unione Sovietica a Roma organizza una cena ufficiale col Duce e il suo governo ospiti d’onore. L’uomo è un eretico, un riformista inviso a destra e sinistra, il destino del riformismo italiano. Una cultura di minoranza che non ha mai avuto del tutto diritto di cittadinanza in un’Italia pervasa dai massimalismi. Quando il cadavere di Giacomo viene scoperto, mentre Gobetti ne esalta la figura politica, da sinistra si usa parole di fuoco. Il necrologio del segretario del PCd’I ha un titolo forte, uno schiaffo: ‘E’ morto il pellegrino del nulla’, inefficace la sua azione politica, fine a se stessa. La sintesi: ha sbagliato tutto. Un nemico del proletariato, un socialtraditore, l’epiteto usato dai vertici dell’Internazionale moscovita contro Turati, contro i dirigenti riformisti della Cgl, a partire da Buozzi. Perché? Perché i massimalisti ritengono, confidando nella linearità della storia interpretata secondo il canone marxista, che la crisi del capitalismo sia sul punto di provocare la rivoluzione il cui sbocco finale è inevitabile. Di certo c’è che chi immagina accordi parlamentari per defenestrare il Duce altro non è che un traditore della classe operaia. Ma i fatti hanno la testa dura. Proprio il 1924 italiano, in buona compagnia con il resto del mondo, smentirà quell’analisi e obbligherà’ anche Gramsci, anni dopo dal carcere, a fare autocritica. Martedì 10 Giugno 1924 alle 4 e mezza del pomeriggio l'onorevole Giacomo Matteotti viene aggredito sul Lugotevere Arnaldo da Brescia mentre si reca da casa a Montecitorio. A colpirlo è un gruppo di cinque fascisti: Amerigo Dumini , che li guida, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amnleto Poveromo. Lo caricano su un'auto, una Lancia nera, che si allontana a forte velocità. Lui si difende disperatamente, getta dal finestrino la sua tessera di deputato. Non riuscendo a tenerto fermo, Viola afferra un pugnale e colpisce Matteotti tra l'ascalla e il torace, uccidendolo. L'auto con il cadavere del deputato gira a lungo nelle campagne romane, finchè il corpo non viene scaricato e sepolto in qualche modo nel comune di Riano, nel bosco della Quartarella dove verrà ritrovato Sabato 16 Agosto successivo. Oggi sappiamo che Matteotti venne assassinato per la sua irriducibile e continua opposizione al Duce e al fascismo, perché aveva scoperto il falso nel bilancio dello Stato - non c’era pareggio tra entrate e uscite come dichiara il re
nella seduta di apertura della nuova legislatura, ma una voragine di circa due miliardi di lire - e in ultimo per aver raccolto le prove di una tangente di 30 milioni di lire pagata dalla Sinclair OIL Company ad alti membri del regime tra i quali Arnaldo, il fratello amatissimo di Benito. Matteotti ne avrebbe con ogni probabilità parlato alla Camera l’11 giugno. Un atto di accusa preciso, documentato, di una precisione geometrica. Venne rapito e ucciso il giorno prima, nella canicola di un pomeriggio romano. Un uomo solo, Matteotti, non un eroe fuori e lontano dal tempo. Un eretico che della libertà ha fatto una ragione di vita. Sarà per questo che non fu tanto amato, e’ per questo che dobbiamo ricordarlo. Le donne che furono accanto ai protagonisti della storia che ha cambiato l'Italia sono state cancellate, dimenticate, eppure condivisero con i loro uomini il dolore di una stagione drammatica. Soffrirono, amarono, suggerirono soluzioni, crebbero i figli. È tempo di raccontare questa storia per intero, senza omissioni, solo la verità nuda e cruda. Documenti inediti, diari, fonti orali, carte d’archivio.
Dopo il delitto Matteotti, la storia si inerpica lungo crinali imprevisti. Finalmente le opposizioni al fascismo condividono un percorso comune, il regime vacilla, la libera stampa accusa il Presidente del Consiglio di essere il mandante del rapimento e dell’assassinio del deputato socialista, i governi di Francia e Inghilterra lo attaccano. Di faccia al corpo scempiato di Giacomo l’Italia ha un sussulto, solo monarchia e Vaticano non fanno mancare il loro sostegno al Duce in difficoltà, anche Mosca si schiera dalla sua parte. I due governi condividono di fatto gli stessi valori: antiborghesi, antidemocratici, teorici del terrore, capiscuola del partito unico. Tra giugno e dicembre Mussolini rischia davvero di rinunciare al suo regno. Fu lo stesso Duce ad attribuirsi la responsabilità dell'omicidio, dimostrandosi determinato a stroncare ogni forma di dissenso. “Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere io sono il capo di questa associazione a delinquere”! - proclamò Mussolini nel celebre discorso del 3 Gennaio 1925. Nell’ora più buia si confida con Margherita Sarfatti, amante, consigliera, musa del futurismo italiano.
È Velia, la moglie, a rendere invulnerabile l’intransigenza morale di Giacomo. Una vita d’inferno, un amore sconfinato. Una vedova bianca che non condivide la sua stessa passione politica e tuttavia resta al suo fianco. Anna Kuliscioff è la compagna di Filippo Turati, il patriarca del socialismo italiano. Medico, rivoluzionaria, ideatrice delle prime proposte di legge sul divorzio e per il voto alle donne. Una straordinaria mente politica, tra i pochi a vedere lontano, a intuire che il regime si sta trasformando in una dittatura che ha piantato radici così profonde da non poterle estirpare. E la quarta è Giulia la causa della violenta passione amorosa di Gramsci, aspetta un figlio da lui. Antonio è a Roma, Giulia a Mosca. Una lettera va, una lettera viene, persi entrambi nel labirinto di un sentimento profondo. Duecento giorni appesi a un filo sottile, ogni soluzione è possibile, gli occhi del mondo puntati sulle mosse via via più audaci di Mussolini.
Quattro uomini, quattro donne, e poi Amendola, De Gasperi, Nenni, Einaudi, Gobetti, Rosselli, Togliatti.
L’Italia fascista dei nonni, l’Italia repubblicana dei padri.
L’Italia che ha disegnato anche il nostro carattere.
Uomini e donne in carne e ossa che scelsero di stare fuori dal coro ripudiando
facili strade in pianura pur sapendo di mettere a rischio la vita.
Va detto: il passato non è mai passato e non è vero che la storia è
maestra di vita. La storia non è maestra di niente. Può ripetersi eccome.
Cicerone ha torto, Dante ha ragione: ‘Dietro a’ sensi la ragione ha corte l’ali’.
(Vedi che la ragione ha corte le ali).
La vicenda umana di Matteotti ci ricorda che la libertà è una palestra nella quale
andare ogni giorno, anche per poco,e che ci sono frangenti nei quali bisogna
uscire dal coro e ripudiare i 'ma anche', i 'ma però', 'non solo lui' e le strade
comode come in pianura. Ti portano al posto sbagliato.
E Giacomo Matteotti scelse la strada più ardua più difficile più impervia ciò che
faranno vent'anni più tardi, divenuti consapevoli del mostro della dittatura e
della guerra, i combattenti per la libertà, i partigiani di ogni fede politica, e
questi si sono stati i veri Patrioti.
Giovanni Crema Giugno 2024
Vuoi saperne di più?
Compila il modulo e contattaci